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Una valle verde smeraldo che ti conquista con le sue acque e la sua riservatezza. È per pochi intenditori,che amano le cose semplici, dalla cucina ai sentimenti, alle cime da dove puoi vedere il mare anche quando vai a sciare.

Attraversiamo i borghi seguendo il cammino della storia, che ci porta dalle pendici del Colle San Bernardo fino al Tanaro, lungo la strada che percorsero i colonizzatori romani, poi le orde saracene e, ancora, Aleramo e Adelasia nella loro fuga d’amore.
Ma le grotte e le pietre incise ci parlano di genti che popolarono il nostro territorio già migliaia di anni fa.
Nelle sue borgate, il paese conserva ancora splendide testimonianze architettoniche del valore dei secoli passati: il complesso medievale del Borgo Maggiore, con i resti del castello e delle mura, la confraternita ed il battistero di San Giovanni; le chiese e il santuario di Valsorda; le decorazioni ed i portali delle case del Poggiolo; i caratteristici edifici ed il Ponte che da il nome alla borgata più viva, cuore economico e commerciale a cavallo del Tanaro.
Poco distante, troviamo un altro brano di storia, monastica e Sabauda, conservato nella Certosa e nel Castello di Casotto.
E la cornice verde di un paesaggio unico valorizza ancor più il quadro delle bellezze di Garessio.

Già gli uomini della pietra vivevano nelle numerose grotte (importanti per i reperti quelle del Gray e di Valdinferno) dei nostri monti ricchi allora di selvaggina, compresi gli orsi, tra le acque gelide e pescose del Tanaro (da una radice tirrenica in “ar” = acqua del verbo greco “ruo” = scorrere).
La zona fu popolata da guerrieri indomabili e da selvaggi pastori (“ager compascuus” di Prato Rotondo), i Liguri Montani ed i Vagienni che diedero filo da torcere ai Romani della tribù Publilia collegata al Municipium di Albenga. Di questa fase romana ci restano molte testimonianze: le lapidi di Trappa, di Mindino, una tomba con vasi fittili, la testata del ponte romano di Piangranone, ecc.
Dal secolo IX arrivarono le orde saracene che da Frassineto (attuale Saint Tropez, Provenza) si spinsero a funestare tutta la Val Tanaro ed il Piemonte meridionale, lasciando tracce in alcune torri cilindriche di avvistamento (Barchi). Verso la fine del secolo X la nostra popolazione si ribella ai Saraceni (Eca Nasagò = luogo di battaglia cruenta) e viene quindi costituita la Marca Aleramica, secondo la nuova divisione dell’Italia fatta da Berengario II verso il 950.
La religione cristiana, già diffusa in Garessio prima dei Saraceni, come testimoniano i resti dell’antichissima Pieve di San Costanzo, edificata su un sacello romano, ebbe una nuova fioritura dopo il Mille grazie alla nascita di chiese e monasteri (la famosa Certosa di Casotto col Beato Guglielmo di Borgoratto), mentre nella vita politica il nome di Garessio (Garexium, da “garricus” = terreno incolto con il suffisso “esce” = luogo di passaggio) è forse attestato per la prima volta in un atto pubblico del 1064.
Dopo alterne vicende, Garessio passa sotto il marchesato di Ceva ed è proprio il Marchese Giorgio II il Nano che concede nel 1276 agli “uomini di Garessio”, in cambio di favori militari resi, gli Statuti raccolti poi nel famoso “Libro della catena”, attualmente conservato presso la Biblioteca Comunale.
Del periodo medievale restano i ruderi del vecchio castello, distrutto dai Savoia verso il 1635, che domina dall’alto il Borgo Maggiore, ancora circondato da mura, porte, torri di difesa e di vedetta con ponti ed archi che resistono e che si possono ammirare ancora nel ricordo di antiche leggende (ad esempio la Dama del Ponte Rosa).
Purtroppo Garessio dovette subire, nel corso dei secoli, numerose tristi vicende, pestilenze, saccheggi, distruzioni ad opera dei Genovesi, Francesi, Spagnoli sino al passaggio delle truppe napoleoniche verso il 1794, portanti sì la libertà, ma anche morte e rovina.
Nel 1814 Garessio ritornò sotto i Savoia e ne divise le sorti, prima con il regno Sardo-Piemontese e poi, attraverso le guerre del Risorgimento, con il Regno Unito d’Italia.
Col Regio Decreto dell’11 giugno 1870, Vittorio Emanuele II concesse il titolo di “Città” a Garessio ed il diritto di fregiarsi dell’antico stemma (due strisce nere e due d’oro orizzontali parallele tra loro, sormontate dalla corona marchionale).
Numerosi furono i Garessini che versarono il loro sangue per la Patria, sia nel Risorgimento e sia nella I Guerra Mondiale e più ancora durante la II Guerra Mondiale che vide nascere a Garessio, lo stesso 8 settembre 1943, le prime attive forze della Resistenza e gli eroismi successivi della Valle Casotto.
Oltre ai numerosi Partigiani decorati con medaglie d’oro e d’argento, la Città di Garessio venne insignita della medaglia di bronzo al valor militare per la Lotta di Liberazione.
Presso il Museo geo-speleologico sono stati raccolti numerosi reperti della storia locale, come pure nella Biblioteca e Pinacoteca Civica e nell’Archivio Storico ricco di rari e preziosi documenti.
Nel ricordo di antiche tradizioni d’autentico folclore religioso, da segnalare la Sacra Rappresentazione della Passione e Morte di Cristo, il “Mortorio”, che si ripete periodicamente ancora oggi con quella genuina vena poetica che ritroviamo nel noto commediografo nostrano del 1700, Camillo Federici e che più tardi farà dire in dialetto al poeta garessino Giuseppe Ramondo: “Garesce l’è u ciù bè paise du mundu”.
Oggi Garessio è un tranquillo luogo di soggiorno e di villeggiatura rinomato per la sua bella posizione geografica tra il mare e le verdi montagne, per le sue condizioni climatiche ideali, ma soprattutto per la famosa e leggerissima acqua San Bernardo.

Le Tradizioni
Come tutti i paesi di montagna, Garessio mantiene un grande rispetto per le sue tradizioni; e anche se il Mortorio, di nascita millenaria e di suggestione enorme, rimane la più significativa, ognuno di noi resta legato alle celebrazioni dei Santi Patroni, ai priorati, alle processioni.
Tradizioni che si perpetuano anche nelle feste laiche, dall’antico carnevale dei Magnin alla moderna Carrera, nelle castagnate autunnali, e nel magico accostamento della polenta saracena con il sugo di porri, che, oltre a rappresentare il nostro piatto tipico, costituisce il maggior momento aggregativo delle sagre estive.

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