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Nella terra di Valva, allora provincia dell’Abruzzo, nella Diocesi di Sulmona, intorno all’anno 1000, giunse Fra Domenico, monaco dell’Ordine di San Benedetto, a Cocullo, circondato da un alone di grande santità, fuggendo dalla vicina Marsica, i cui abitanti sono da millenni “maneggiatori di serpenti”, come riferiva Plinio il Vecchio, ed erano muniti di poteri magici tali da guarire i morsicati dai rettili con il solo toccamento. Era inseguito dagli eretici che volevano ucciderlo. Portava con sé una mula e un orso lo difese dagli inseguitori.
Nella sua fuga si imbatté in un contadino che seminava fave e lo pregò, nel caso che alcuni uomini armati fossero passati di lì, di dire che lo aveva visto passare mentre egli seminava le fave, e si nascose nella capanna del contadino. Ma quando gli inseguitori sentirono dal contadino che un frate era passato di là mentre seminava le fave e accortisi che esse erano già cresciute e fiorite, rinunciarono ai loro cattivi propositi.
Arrivato all’ingresso del paese il santo si incontrò con molta gente che, gridando, rincorreva un lupo affamato che portava tra le mascelle il corpo di un bambino nato da poco e sottratto alla madre. Commosso dalle lacrime della povera donna, San Domenico comandò al lupo che lasciasse il corpicino. E subito il lupo, dimentico della sua ferocia, rilasciò il bambino senza alcun danno e lo restituì alla mamma.
Durante la permanenza a Cocullo fece rimettere il ferro alla mula dal maniscalco locale il quale, trattandosi di un forestiero, sperava di spuntare un prezzo superiore al normale. Quando si trattò del pagamento, alla richiesta di un prezzo impossibile, il Santo ordinò alla mula di restituire il ferro. Con una scrollata di zampe, il ferro si schiodò miracolosamente. I locali lo conservarono e tutt’ora lo si può ammirare nel santuario dedicato al Santo.

Frequenti erano i casi di persone morsicate da serpenti e da vipere di cui la zona era piena. San Domenico operò molti miracoli liberando poveri disgraziati che erano stati morsi dalle vipere o da cani rabbiosi. Liberò alcune donne che, dormendo in aperta campagna, avevano avuto il latte materno succhiato dalle serpi ed a qualcuna erano addirittura penetrate nello stomaco.

Ma san Domenico doveva lasciare Cocullo e i cocullesi, dopo averlo implorato di restare, vista la ferma determinazione del santo, lo pregarono di lasciare loro qualcosa che li proteggesse contro animali rabbiosi, velenosi o pericolosi. San Domenico si commosse e, portata la mano alla bocca, estrasse un dente molare e lo donò loro. Dente che si conserva venerato nella chiesa a lui dedicata. Il dente di San Domenico, proteggendo dai morsi dei serpenti, aiuta a liberare le anime dagli assalti del serpente infernale, eterno nemico di Dio e dell’uomo. Da secoli l’omaggio si ripete in Cocullo il primo maggio, quando, con i rintocchi della campana della chiesa tirata con i denti per devozione, all’uscita della Statua dal Santuario per la Processione, i Serpari si stringono attorno a San Domenico per offrirgli i serpenti catturati nelle zone circostanti.
Il rito ricco di simboli, assume toni di grande suggestione e richiama migliaia di pellegrini e visitatori da ogni parte del mondo.

In un antico libro si legge: «Appena dopo il disgelo, quando il tepore primaverile comincia a scaldare la terra, vuol dire che è tempo di andare per serpi. “… Fermati, serpe, perché devi servire per la festa di San Domenico!” intimava Simone ad un ofide che gi attraversava la strada un giorno del mese di Aprile del 1768».

 

di Gabriele Di Francesco

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